INTERVISTA ALLA GIURISTA ANNA MONIA ALFIERI
“Il futuro di ogni Paese passa dalla scuola. E la pandemia, avendo fatto emergere i limiti del sistema scolastico, da un canto ha accelerato alcuni processi già in atto da tempo, dall’altro ha maturato in ciascuno di noi la consapevolezza che il futuro dipende proprio dalla ripartenza della scuola. Una scuola che non ha chiuso solo a causa del Covid, e che evidentemente riparte per tutti se, e solo se, riusciremo a compiere la necessaria riforma epocale: porre la scuola al centro per dare un futuro ai giovani. Nel nostro Paese la scuola deve tornare ad essere un ascensore sociale, mentre nei Paesi del Sud del Mondo deve iniziare ad esserlo». Ne è certa suor Anna Monia Alfieri – giurista, economista, esperta di politiche scolastiche, delegata USMI alla Consulta pastorale e al Consiglio nazionale scuola della CEI – che intervistata dall’OPAM in occasione della Giornata Mondiale degli Insegnanti 2021, spiega come la scuola potrebbe assumere anche una funzione importante di mediatore per facilitare e favorire il dialogo tra Nord e Sud del Mondo.
Insieme contro la povertà educativa
«L’Italia è paradigmatica, per certi aspetti, rispetto alla situazione mondiale. Il nostro sistema scolastico nasconde ancora molte sacche di esclusione, oltre che di vera e propria resistenza delle scuole “di frontiera”. Lo ha ricordato il Presidente Mattarella il 20 settembre in occasione dell’inaugurazione dell’anno scolastico 2021/2022. Difatti l’emergenza sanitaria e la prolungata chiusura delle scuole hanno fatto sparire dal radar molti studenti a rischio, nonostante l’impegno di insegnanti e dirigenti per contattarli, uno ad uno, e l’intervento di molte associazioni che affiancano le scuole e i loro alunni garantendo il sostegno della comunità educante.
Già prima dell’emergenza Covid, l’ascensore sociale del Paese era fermo: in Italia si è rotto il meccanismo che permetteva di migliorare la propria condizione, di costruirsi un futuro migliore.
Secondo un’indagine condotta da Ipsos tra gli studenti della secondaria di secondo grado, nel 28% delle classi si sarebbe verificato almeno un abbandono di un loro compagno da quando la pandemia ha compromesso le attività didattiche in presenza. Poiché nel 2019-20 le classi funzionanti erano 121,5mila, si può ritenere che – se è fondata la stima del 28% – non meno di 34mila ragazzi abbiano abbandonato o siano propensi a non ritornare a scuola.
La povertà improvvisa, la paura per il futuro, la demotivazione: una miscela di fattori che rischia di gravare come una pesante eredità sulle spalle degli studenti, aumentando i già importanti divari di apprendimento che caratterizzano il nostro Paese.
A ciò si aggiunge la crisi della famiglia che, sempre più spesso spaccata e assente, non supporta i figli in un percorso culturale e formativo. In misura molto più drammatica ciò è accaduto nel Sud del Mondo», sottolinea suor Alfieri, «dove indipendentemente dalla pandemia la povertà cronica già teneva in ginocchio la scuola, la famiglia e la comunità tutta».
Da qui l’urgenza di azioni a sostegno del sistema scolastico, “un patto educativo globale” come chiede Papa Francesco, capace di “scongiurare la catastrofe educativa”. «Guardiamo anche su questo fronte al caso italiano», suggerisce suor Anna Monia. «Sono pienamente d’accordo con il Santo Padre. Serve l’aiuto di tutti. In Italia abbiamo sperimentato i patti di comunità, il piano estate 2021 e le novità introdotte dalla legge di Bilancio in seno ad un governo di unità nazionale. In particolare i patti di comunità proposti dal Ministro Bianchi, dando applicazione ai principi costituzionali di solidarietà (articolo 2), comunanza di interessi (articolo 43) e sussidiarietà orizzontale (articolo 118, comma 4) per irrobustire alleanze educative, civili e sociali di cui la scuola è il perno ma non l’unico attore, sembrano rispondere concretamente all’appello del Papa. Un modello che può essere esteso anche alle altre realtà in cui l’istruzione è messa in crisi.
In altri termini, essi favoriscono l’esercizio del principio di sussidiarietà e costituiscono occasioni di costruzione di comunità fra i cittadini, andando a ricostruire la socialità negata e interrotta dal Covid. Tutti sono scesi in campo: Regioni, Province, Comuni, Enti pubblici e privati, scuole statali e paritarie, sindacati, associazioni per far ripartire la scuola, e sembra che quel modello abbia funzionato, almeno nella maggior parte delle Regioni. Questo diventa il metodo di approccio della scuola, dal post Covid in avanti.
La scuola chiede l’impegno della Repubblica, cioè di tutti, perché i giovani sono un bene pubblico ai quali dobbiamo dare di più. Purtroppo, non sempre negli Stati del Sud del mondo c’è questa basilare consapevolezza», conclude l’esperta. Ecco perché il dialogo tra Sud e Nord del Mondo e lo scambio di esperienze può assumere una funzione importante di arricchimento reciproco.
Sappiamo attraverso i dati, e per conoscenza diretta, che in particolare nei Paesi del Sud del Mondo a farsi carico della responsabilità educativa sono quasi esclusivamente le scuole cattoliche. Una sfida per questi istituti e per i loro insegnanti, per altro costretti in contesti particolarmente complessi e disagiati. Come ricorda suor Alfieri, «anche in Italia le scuole paritarie sono nate come scuole dei poveri, per strappare i ragazzi ai pericoli della strada». Tuttavia «l’aver lungamente impedito in Italia la libertà di scelta educativa dei genitori ha portato le scuole paritarie dei poveri ad indebitarsi, prima, per rendersi accessibili e a chiudere, poi». Per renderci conto delle proporzioni, ricordiamo che, come «è stato ampiamente dimostrato attraverso l’individuazione del costo standard di sostenibilità, un allievo costa ogni anno 5.500 euro (n.r: A.M. Alfieri – M. Grumo-M.C. Parola, Il diritto di apprendere, Giappichelli, Torino, 2015). Ma quale famiglia potrebbe permettersi una retta di tale ammontare?».
Ecco perché «il Covid ha accelerato il processo di chiusura proprio delle scuole paritarie di frontiera, quei presidi di cultura e di libertà che, con rette modeste, hanno cercato di non escludere proprio i più poveri. Fedeli alle ragioni di fondazione, gli Istituti Religiosi si sono fatti carico di tutto, pur di non compromettere lo spessore educativo, la continuità scolastica e l’aiuto ai soggetti più fragili ed emarginati». Tuttavia «la reale impossibilità delle famiglie ad accedere a scuole con rette superiori a 3mila euro ha causato la chiusura proprio delle scuole di frontiera, quelle nate per i poveri, aperte a tutti, alle fasce più fragili, ai disabili e agli immigrati, che prima hanno dovuto accettare di non poter accogliere tutti e poi di dover chiudere».
Eppure «anche la scuola statale non è gratuita: è pagata dalle tasse dei contribuenti che, se scelgono la scuola paritaria che pure è pubblica per legge, pagano due volte». E tutto questo anche «a scapito del pluralismo educativo che invece potrebbe consentire una sana competizione fra le scuole, elemento che innalza il livello di qualità, fa risparmiare tanti danari da investire nella tecnologia, nei docenti, nella formazione degli stessi. Eppure la riforma tanto attesa, quella verso “autonomia, parità e libertà di scelta educativa” così semplice, immediata, in Italia è ferma da 20 anni, perché emancipare il povero fa paura, lo rende libero, ne fa un cittadino. E questo in tutto il mondo».
Laura Malandrino