GIORNATA INTERNAZIONALE DELL’ALFABETIZZAZIONE 2023

di Laura Malandrino

In occasione della Giornata internazionale dell’alfabetizzazione 2023, viaggio nei campi profughi dello Stato Kayah, in Myanmar

Portare la scuola nei campi profughi per resistere alla guerra e costruire silenziosamente la pace,
nonostante il rumore delle bombe.
È la sfida della Chiesa cattolica tra gli sfollati interni dello Stato Kayah, in Myanmar, dove le Forze di Difesa del Popolo (PDF) si stanno scontrando duramente con quelle della giunta militare. Una sfida che rispecchia in pieno il tema di quest’anno della Giornata internazionale
dell’alfabetizzazione (8 settembre 2023) “Promuovere l’alfabetizzazione per un mondo in transizione:
costruire le basi per società sostenibili e pacifiche”
, che l’OPAM ha deciso di sostenere, grazie al contributo dei suoi benefattori.

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Come si vive nelle tende

I campi profughi popolati dagli sfollati del Myanmar sono accampamenti improvvisati nella foresta o sui
monti che non sono riconosciuti come luoghi di asilo o rifugio, e pertanto non sono salvaguardati. Anzi,
sempre più spesso, sono deliberatamente attaccati o bombardati, per costringere la gente a continuare a
scappare. Attraverso la testimonianza di fonti vicine all’OPAM scopriamo come si vive in queste tende senza servizi, che necessitano di essere sempre riparate o sostituite, con una carenza cronica d’acqua che si aggrava nella stagione secca, poiché mancano anche i serbatoi per raccogliere quella piovana. Luoghi abbandonati dove nemmeno le istituzioni internazionali e le organizzazioni per la tutela dei diritti dei rifugiati riescono ad intervenire.

La stessa popolazione locale, per timore di ritorsioni da parte dei militari, aiuta poco e non cede ai profughi nemmeno un po’ di terra da coltivare. Negli accampamenti donne, bambini e anziani vivono nella paura più profonda e in assenza di qualsiasi bene di prima necessità. Soprattutto mancano i farmaci e qualsiasi tipo di vaccino. Poiché molte persone vivono nei campi da mesi o addirittura da anni, tante malattie prima sotto controllo oggi sono in aumento. Inoltre, in qualsiasi momento, sui profughi possono piovere bombe dal cielo e dalla terra arrivare raffiche di proiettili.

In questi campi abbiamo visto tante persone morire per carenza di cibo. Molti sopravvivono mangiando solo verdure e tuberi trovati nelle foreste circostanti”, ci spiegano. Per questo, quando qualche religioso riesce a visitare un campo profughi, innanzitutto porta generi alimentari, vestiti, coperte e tendoni di plastica.

La scuola, unica fonte di speranza

Quando è possibile portiamo anche medicinali e materiale didattico per i bambini e i ragazzi, privati della possibilità di frequentare la scuola. Insegniamo il catechismo, preghiamo insieme e facciamo condivisione della Parola di Dio. Giochiamo con i bambini, li facciamo disegnare e cantare. Soprattutto stiamo con le persone e ascoltiamo le loro storie. Inoltre, organizziamo corsi di recupero scolastico”, prosegue la nostra fonte che teniamo riservata per ragioni di sicurezza.

Portare avanti l’attività scolastica in questo contesto significa, però, fare i conti con innumerevoli difficoltà. Innanzitutto la scarsa preparazione degli insegnanti e il grande numero di bambini e ragazzi presenti nei campi, la mancanza di fondi per dare un minimo compenso ai docenti e di materiale didattico, le continue interruzioni dei tempi di studio. E poi la nostra difficoltà a muoverci a causa del trasporto limitato e dei posti di blocco lungo le strade, con il rischio di essere accusati di favoreggiamento dei ribelli”.

Il primo anno di guerra si è cercato di tenere impegnati i ragazzi solo con qualche attività educativa nella speranza di vederli tornare presto a scuola nei loro villaggi. Ma poi, il protrarsi della situazione ha richiesto di pianificare l’attività scolastica nei campi.

LEGGI il Messaggio di Papa Francesco per la Giornata Internazionale dell’Alfabetizzazione 2023

I comitati per l’istruzione scolastica

Oggi, grazie alle indicazioni della diocesi di Loikaw in ogni campo è stato organizzato un comitato per
l’istruzione scolastica.
Inoltre i campi sono stati raggruppati in aree e ad ogni Congregazione religiosa
coinvolta nel servizio ne è stata affidata una.

“L’area affidata a noi è molto vasta e comprende cinque campi – spiega la fonte –. I corsi sono organizzati in base al livello di formazione dei ragazzi, quindi in ogni gruppo possono esserci età diverse perché in questi anni sono tanti quelli che non hanno frequentato la scuola con regolarità. Per garantire stabilità, in ogni campo c’è un referente che collabora con noi anche quando non siamo presenti, e che insieme ad altri volontari segue i ragazzi nello studio e in caso di fuga se il campo viene attaccato dai militari. Se
l’accampamento non viene distrutto o occupato, poi i ragazzi e gli altri rifugiati ritornano, e la lotta per la
sopravvivenza ricomincia”.

Cosa sta succedendo in Myanmar?

Nella vecchia Birmania, dove i diritti umani sono totalmente calpestati da anni di dittatura, nell’ultimo
biennio si sta consumando una guerra civile spaventosa per modalità e numero di morti. Secondo il centro di ricerca Acled (Armed Conflict Location & Event Data Project), organizzazione statunitense non
governativa non a scopo di lucro specializzata nella raccolta di dati, analisi e mappature dei conflitti nel
mondo, sono oltre 30mila le vittime dell’odio civile che continua a straziare il cuore dell’Asia.

Alle origini del conflitto

Il Paese ha alle spalle una lunga storia di dittatura militare iniziata nel 1962. Da quella data le prime elezioni parlamentari parzialmente libere risalgono al 2012, ma è solo nel 2015 che la Lega nazionale per la democrazia guidata da Aung San Suu Kyi ottiene la Presidenza del Paese e lei diviene Primo Ministro.
Alle elezioni del 2020, la vittoria della Lega si ripete con una maggioranza più forte, ma dopo un lungo
contenzioso su possibili brogli
– tuttavia esclusi dagli osservatori internazionali – l’1 febbraio 2021 i militari tornano al potere con una dittatura definita dalla stampa “tra le più violente della Storia recente”.

La leader Aung San Suu Kyi, già premio Nobel per la pace nel 1991 proprio per il suo impegno nella difesa dei diritti umani nel suo Paese, viene arrestata nei giorni del golpe con accuse di corruzione. Nel corso del 2022 subisce nuove condanne insieme ad altri esponenti della Lega, e a luglio dello stesso anno la Giunta militare esegue quattro esecuzioni capitali, fatto che non avveniva dagli anni Ottanta.

La protesta popolare e la repressione

Nonostante tutto la popolazione non si è arresa. Come riporta Atlante delle guerre e dei conflitti nel mondo, e come ci confermano fonti locali, dopo il golpe di febbraio è iniziata in tutto il Myanmar una protesta pacifica con centinaia di migliaia di persone nelle piazze e una sorta di sciopero diffuso in tutti i settori vitali dell’economia. Un movimento di disobbedienza civile che ha affrontato una repressione durissima. Anche per questo, la protesta pacifica è andata trasformandosi sempre di più in una guerra diffusa per la quale si contano circa 80mila combattenti in totale, a cui si aggiungono sempre più giovanissimi, ragazzini dai 14 ai 18 anni.

Una situazione davvero difficile che si complica ulteriormente se si cerca di capire cosa ci sia realmente
dietro questa guerra, che solo all’apparenza riguarda esclusivamente il popolo birmano. La collocazione
strategica del Myanmar, infatti, rende il Paese una tessera fondamentale del domino asiatico, e pertanto –
come denunciato da più parti – scenario perfetto per alimentare tensioni interne adattandole a interessi
esterni che fanno capo, sostanzialmente, a tre grandi potenze: Cina, Russia e India.

Più di una guerra civile

Per capire quanto il Paese sia strategico per gli interessi cinesi basta guardare al titolo del saggio dello
storico Thant Myint U, Where China Meets India, nel quale il Myanmar viene definito “l’occhio del Buddha”. Ma c’è di più. Nel Nord del Myanmar, al confine con la Cina, secondo quanto emerso da un’indagine della ONG Global Witness i cui risultati sono stati resi pubblici il 9 agosto del 2022, è stata individuata una zona di terre rare (che contengono metalli preziosi fondamentali per l’industria tecnologica) là dove prima c’era solo densa foresta. A governare la regione sarebbero i militari che, come denuncia il report di Global Witness, controllerebbero anche una rete di società registrate in Myanmar che farebbero da schermo a imprenditori cinesi, ricevendo in cambio una quota dei ricavi. Una pratica che in passato sarebbe già stata impiegata nella regione per lo sfruttamento della giada, delle pietre preziose e del legno pregiato. Ancora una volta, insomma, ci troviamo davanti ad un Paese fragile la cui popolazione paga il prezzo della transizione energetica nelle economie industrializzate.

L’OPAM vicina alle vittime del conflitto

Tra i territori più gravemente colpiti dal conflitto civile in corso nel Paese dopo il colpo di stato militare del 2021, come ci conferma la nostra fonte, ci sono le diocesi di Loikaw, Pekhon, Hakha, Kalay e Mandalay.

In particolare, a Loikaw, capoluogo dello Stato birmano orientale di Kayah, dove l’OPAM ha finanziato la costruzione di una struttura per il doposcuola e da tanti anni sostiene le adozioni scolastiche a distanza, solo nell’ultimo anno sono state bombardate ben 14 chiese. Una ferita davvero grande in una città dove il 26% circa della popolazione è cattolica (ndr: in tutto il Myanmar solo l’1% della popolazione è cattolica, divisa in 16 diocesi) e dove le chiese sono utilizzate anche come campi di accoglienza per gli sfollati interni.

In questo contesto l’OPAM continua il suo impegno accanto alla Chiesa locale, dal 29 giugno di quest’anno guidata dal nuovo vescovo monsignor Celso Ba Shwe. Una persona “attenta ai bisogni della popolazione, carismatica e coraggiosa”, lo definiscono i referenti OPAM in Myanmar che lo conoscono da tanti anni. Con un passato di insegnante nelle scuole pubbliche quando era molto giovane, monsignor Celso da sempre fa di tutto per sostenere l’istruzione e migliorarne la qualità per il bene degli studenti, anche grazie alla collaborazione delle religiose con cui l’OPAM lavora nel Paese.