POOLA, NUOVO CARDINALE DELLA CHIESA UNIVERSALE

L’educazione, miglior regalo che si possa fare ai bambini

In attesa di incontrarlo il 27 agosto per portargli gli auguri di tutti gli amici dell’OPAM, grazie alla collaborazione attiva di don David Arulappa – parroco della chiesa di Cristo Re a Tadipatri, diocesi di Kurnool – e di Vera Carta, socia OPAM, lo abbiamo intervistato.

Raggiungere chi è più emarginato e fragile, portare istruzione ai bambini poveri, responsabilizzare le donne e sradicare il lavoro minorile, per dare ai giovani una formazione umana e al contempo garantirgli un futuro migliore. Per l’arcivescovo Antony Poola, 61 anni, che sarà creato cardinale con il Concistoro del 27 agosto, annunciare la “Buona novella ai poveri” come dice il Vangelo di Luca al passo 4,18 e come si legge nel suo motto episcopale, presuppone tutto questo.
Originario della diocesi indiana di Kurnool nello Stato federato dell’Andhra Pradesh, è stato nominato vescovo della sua stessa diocesi l’8 febbraio del 2008 e dal 2020 è arcivescovo di Hyderabad.
A rendere ancora più intensa la sua missione di testimone di una Chiesa povera per i poveri, sono le sue origini dalit, termine con cui secondo il sistema sociale e religioso induista si indicano i “fuori casta”, cioè chi è considerato fuori da ogni gerarchia sociale.

L’INTERVISTA

Eccellenza, in alcune recenti interviste ha dichiarato che raggiungerà le periferie della società e che lavorerà per l’elevazione dei poveri e degli oppressi. Quale ruolo avranno istruzione ed educazione per affrontare queste sfide?

Come racconto sempre nelle interviste la mia stessa vita è stata illuminata grazie all’istruzione ricevuta dai missionari. Per questo dico che l’educazione è il miglior regalo che si possa fare ai bambini. Ricordo quando ero seminarista e durante le vacanze organizzavo incontri di formazione per i più piccoli. Era sempre una grande soddisfazione. Nella diocesi di Kurnool, oltre al mantenimento dei convitti, degli insegnanti e della St. John’s Residential School ad Anantapur, abbiamo aiutato molte scuole speciali per dalit e gruppi emarginati della società. Abbiamo anche istituito borse di studio spendendo ogni anno circa 8 milioni di rupie, ovvero oltre 98 mila euro. Grazie al nostro aiuto, alcuni bambini crescendo sono diventati insegnanti e altri oggi lavorano in aziende private.

Quando e come nasce la sua amicizia con l’OPAM?

Era il 2011 quando grazie ad una amica che già era socia OPAM, Vera Carta, ho conosciuto l’Associazione e subito ne ho sperimentato la vicinanza e l’amicizia. L’OPAM, infatti, ha risposto alle richieste di aiuto della diocesi di Kurnool sostenendo l’educazione dei bambini poveri e la costruzione di alcune scuole. Con don David Arulappa, oggi parroco della Chiesa di Cristo Re di Tadipatri (diocesi di Kurnool), avevamo già scritto diverse email all’OPAM. Poi tramite Vera, quando don David studiava a Roma, abbiamo finalmente visitato l’ufficio e incontrato personalmente l’allora Presidente don Aldo Martini.

Da allora l’OPAM è sempre rimasta in contatto con noi, e io leggo la loro rivista e seguo le attività che svolgono in Andhra, specialmente nella diocesi di Guntur e in altre regioni. Apprezzo molto il loro impegno e di questo li ringrazio. È con il loro supporto che abbiamo potuto portare avanti i programmi di alfabetizzazione per i bambini poveri anche durante la pandemia di Covid-19. Ora siamo fiduciosi di vedere nuovi interventi dell’OPAM nel Sud dell’India.

L’8 febbraio del 2008 arriva la sua nomina a vescovo di Kurnool. Può condividerci un ricordo di quel momento e spiegarci cosa significa per lei ancora oggi quella diocesi?

Ancora oggi quel giorno è per me un dolce ricordo. Quando arrivò la chiamata dalla Nunziatura, tra meraviglia e sorpresa accettai il nobile compito, con grande fede nel Signore e obbedienza al Santo Padre. Sono originario della diocesi di Kurnool, di un’importante parrocchia nel decanato di Nandyal, Poluru. Per me è stato di grande conforto il fatto che davvero in tutta la diocesi la chiamata al servizio episcopale di un fratello, anche lui figlio di quella terra, sia stata accolta con grande entusiasmo e gioia da tanti sacerdoti, religiosi e laici. Il loro sostegno mi ha dato molta energia e forza e grazie alla loro collaborazione il mio servizio episcopale a Kurnool, durato quasi 12 anni e mezzo, è stato davvero fruttuoso.

Può spiegarci i simboli del suo stemma episcopale e il significato del suo motto?

Nel mio stemma episcopale, disegnato con l’aiuto di un ufficiale del dicastero vaticano alla notizia della mia nomina a vescovo di Kurnool, c’è la Bibbia simbolo della Parola di Dio; il fiume Tungabadra che è il segno della provvidenza di Dio; Kondareddy Buruju che è il forte di Kurnool; i verdi pascoli che indicano la presenza costante di Dio; il Rosario Dono di Maria della Salute patrona della diocesi di Kurnool; infine il segno della Croce in alto che simboleggia il regno di Dio nella diocesi. Il mio motto “Buona novella ai poveri” è tratto, invece, dal Vangelo di Luca 4,18. Poiché istruzione ed educazione sono le vie fondamentali per annunciare il Vangelo è da qui che parte la mia pastorale. Ecco allora che attraverso vari organi della diocesi come le commissioni pastorali, educative e sociali, abbiamo fatto del nostro meglio per raggiungere tutti, portare istruzione ai bambini poveri, responsabilizzare le donne e sradicare il lavoro minorile.

La sua missione, in un certo senso, è resa ancora più intensa dalle sue origini dalit. Una maggioranza della popolazione indiana vittima di emarginazione e abusi, nonostante l’abolizione delle caste nel 1947. Può aiutarci a comprendere la situazione?

Il problema delle caste purtroppo esiste da sempre e non è colpa di nessuno. È uno stigma sociale con il quale la gente è rassegnata a convivere. Per portare l’uguaglianza sono stati fatti molti sforzi, soprattutto grazie al contributo della Chiesa. Eppure i cristiani dalit da più di 70 anni continuano ad essere ulteriormente vessati a causa della loro fede. Per questo facciamo appello al governo affinché possano essere rispettati come qualsiasi altro dalit indù.

La sua gente come ha accolto la notizia della nomina? E per il suo ministero episcopale cosa significa questa chiamata di Papa Francesco?

Quando la gente ha saputo della nomina c’è stato tanto entusiasmo. Innanzitutto perché la Chiesa Universale rappresentata dal Santo Padre ha aperto gli occhi e ha visto il bisogno del Sud dell’India; perché dopo la scomparsa del cardinale Lourduswamy i fedeli sentivano il bisogno di un loro rappresentante oltre il cardinale Filippo Neri da Goa; e perché io sarò il primo cardinale di lingua telugu e di origini dalit. La nostra gente ha fiducia in me e spera che questa chiamata possa far giungere a tutti la voce del Sud dell’India, in particolare della Chiesa telugu e dei dalit.

Per l’amore manifestato nei confronti del subcontinente indiano siamo davvero tutti grati al Santo Padre. Papa Francesco dall’inizio del suo pontificato ha sempre parlato di Chiesa per i poveri e sempre, in ogni suo messaggio, parla di raggiungere le periferie, non solo attraverso le parole ma innanzitutto attraverso le azioni. Il Papa ci invita a camminare insieme. Una chiamata rivolta non solo ai cardinali, ai vescovi, ai sacerdoti e alle persone consacrate, ma a tutti poiché dobbiamo coinvolgere i laici nell’amministrazione della nostra Chiesa e delle nostre istituzioni. La Lettera Apostolica “Desiderio Desideravi” del Santo Padre sulla formazione liturgica del popolo di Dio e la Costituzione Apostolica “Praedicate Evangelium” con la quale Papa Francesco ha decretato la riforma della Curia Romana e il suo servizio alla Chiesa e al Mondo, parlano chiaramente del pensiero del Papa e di ciò che si aspetta da noi. So che è una grande responsabilità ma dobbiamo lavorare sul solco tracciato da Papa Francesco.

Il dialogo tra le religioni in India a che punto è del cammino?

Premesso che l’India offre al dialogo interreligioso una significativa opportunità per il semplice fatto che qui convivono tante fedi – tutti gli indù, i musulmani, i buddisti e altri gruppi religiosi – è importante riconoscere innanzitutto alla comunità cristiana il ruolo di garante di questo dialogo. Da parte nostra cerchiamo di lavorare insieme per promuovere la pace e l’armonia al fine di creare una società migliore, nonostante alcuni gruppi fondamentalisti creino tensione nel Paese e il Parlamento abbia approvato un disegno di legge anti-conversione nello Stato del Karnataka, il che è davvero molto triste. Noi infatti non convertiamo nessuno con la forza. E non è possibile convertire nessuno. Abbiamo grandi sfide davanti e dobbiamo lavorare amichevolmente per risolvere questi problemi.

Laura Malandrino